Diffusa a partire dalla metà dell’Ottocento la stampa all’albumina predomina fino agli ultimi decenni del secolo. Il suo particolare colore bruno e la sua lucentezza rappresentano il tratto distintivo delle immagini fotografiche dell’epoca, soprattutto quando viene utilizzato il viraggio all’oro. La carta per la stampa preparata con una soluzione salina, viene fissata con un’emulsione contenente albume d’uovo che conferisce compattezza e lucidità alla superficie. Quando verso il 1860 i negativi di carta saranno sostituiti dalle lastre di vetro al collodio le immagini acquisteranno in lucentezza e ricchezza di dettagli. Il procedimento all’albumina è stato il primo utilizzato commercialmente all’epoca della diffusione della fotografia e la sua elaborazione ha portato al consumo di un enorme quantità di uova.
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I positivi fotografici su carta salata sono tratti da un negativo anch’esso di carta. Il procedimento è stato messo a punto in Inghilterra da William Fox Talbot che gli ha dato il nome di calotipo ( dal greco: bella immagine). A differenza del dagherrotipo, che consiste in un’unica immagine su lastra metallica, il calotipo introduce per la prima volta il rapporto negativo- positivo nel processo fotografico. Dopo aver impressionato il negativo, questo viene posto a contatto con il foglio preparato con una soluzione di cloruro di sodio che serve da positivo, da cui il nome di carta salata. Le fotografie eseguite con questa tecnica sono molto pastose e la superficie, data la prevalenza della carta, risulta granulosa. Il vantaggio è la possibilità da trarre più stampe da un medesimo negativo, ma le immagini risultano opache. Verso la metà degli anni Cinquanta dell’Ottocento il calotipo è stato gradualmente soppiantato dal collodio che utilizza il vetro come supporto per il negativo, con risultati più brillanti.
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Tecnica fotomeccanica che consente il trasferimento di un’immagine fotografica su una matrice che viene poi stampata con procedimenti litografici. La matrice può essere sia metallica che di vetro e viene ricoperta con uno strato uniforme di gelatina si cui si distende il negativo da riprodurre. Questa tecnica permette tirature maggiori di una normale fotografia, adatte a una grande diffusione delle immagini.
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Si tratta del procedimento fotografico che intorno agli anni ottanta dell’Ottocento ha sostituito il collodio e le stampe all’albumina, rimanendo in uso fino all’epoca moderna. I sali d’argento sono dispersi in una soluzione di gelatina che viene poi stesa sul negativo, in vetro o pellicola, e sulla carta per la stampa: questo fa sì che entrambi i supporti acquistino maggiore sensibilità alla luce. La conservabilità della gelatina bromuro d’argento non obbligò più i fotografi a preparare di volta in volta i materiali da utilizzare subito, rendendo possibile una maggiore diffusione della fotografia. Questo procedimento ha determinato la nascita delle prime grandi industrie fotografiche e reso possibile l’invenzione della cinematografia.
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